ANIMA DI CORALLO - Casa editrice Kimerik - 2015
il mio nuovo libro
Prefazione
Se poesia è canto dell’anima, distillato di sentimenti, essenza di
valori, allora scorrendo questo saggio il lettore si può abbeverare di ‘vera’
poesia. Perché qui Maria Rosa Cugudda dimostra di saper cogliere dalla vita
attimi universali e ce li rende in versi liberi, ma incatenati all’esperienza
non sempre lieta del vivere.
Nelle pagine si
alternano visioni d’incanto, una natura trionfante e apportatrice di gioia, a
spazi grigi, disperati, solitari. Mari azzurri, bagliori di luce, estati infuocate,
germogli di spighe, profumi di paglia, mattine di fiori profumate, lasciano
spazio a istanti permeati da profumo di tristezza, da pianto, da solitudine.
Geme l’animo dell’autrice, ma “in voi parole inutili vane - fredde vuote -
ritrovo conforto - alla mia disperazione - e vi chiamo a lenimento - del mio
dolore”.
Eppure c’è fame
di vita quando, nella sua missione di educatrice, sospinge un ragazzo lontano
dalla droga mortale; quando guarda alla morte dei cari, rievocati non in
spoglie mortali ma come creature sempre vive; anche quando arriva l’autunno del
cuore, e si è travolti dall’uragano che sconvolge la quotidianità mai
abbastanza valutata, ma evocata con profondità dall’anima straziata.
Su tutto brilla
l’Amore per lo sposo che non c’è più. Era ‘il Medico degli umili’ Luciano Serra,
e aveva intrecciato la sua vita all’esistenza della poetessa. Per sempre. In un
sentimento che travalica le soglie incerte della vita. E si trasforma in
sentire universale, in canto soave: “Con te amor mio sempre - anche se non ti vedo - dall’alba
rosata - al cobalto tramonto. - Nel tuo essere invisibile - nella tua mente
nella tua anima - vita mi regali ed io - in te continuare ad esistere vorrei”.
Per Maria Rosa “La
morte sì - annulla ma la carne - esalta invece lo spirito - che inonda e
travolge - luoghi e cuori - che ti
conobbero”. La poesia nata nell’incontro con Luciano diventa “mio canto
di te si nutre - che mi ami - e immensamente - anch’io ti amo”.
Altre figure si
affacciano nei versi: indimenticabile la figura ieratica della madre, un affetto
infinito come quello che lega Maria Rosa alla terra natìa: “Calde le mani
tendevi - a chi con filo di dolore il cuore aveva cucito”. Altrettanto densa di
affetto fraterno l’immagine di Grazia: “Cerca la pace abito nella luce - dove
tutto è gioia e Grazia senza fine”.
Poesia dopo poesia, tante sono ancora le gioie e altrettanti i dolori,
le sofferenze che incidono graffiando le pagine di un’anima che porta il colore
del corallo: “Nel ripostiglio - ormai in disuso chiudo il mio spirito”.
Infine ‘il cuore tace’ e lascia spazio a parole scritte nelle
emozioni: “Libertà sento - anche di mostrarmi piccola debole e fragile - da
quando Lui - con lo sguardo più non mi abbaglia - e nel suo vezzo più non mi
perdo”.
Mariella Debernardi
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